Nel corso dell’alpinismo si sono susseguite diverse fasi, con caratteristiche, stili, interpretazioni diverse a seconda dello spirito del tempo, delle conoscenze e della preparazione in ambito atletico e soprattutto in funzione dello sviluppo tecnologico. Nel corso del 1800 vengono conquistate praticamente tutte le vette delle Alpi. L’approccio in quei decenni è quello di salire per le “così dette” vie normali. Queste sono le vie che conducono alla vetta seguendo il percorso più logico (anche se non necessariamente il meno pericoloso). Lo scopo, in soldoni, era quello di arrivare in vetta, per cui si cercava di farlo nel modo meno problematico possibile.
La prima salita al Cervino nel 1865.
Verso la fine del 1800, dopo aver raggiunto le vette attraverso le vie normali, vengono “scoperte” le grandi pareti in cui gli alpinisti più arditi si cimentano. C’é un rapido progresso di natura tecnica su roccia che porta le difficoltà intorno all’attuale IV/IV+ in granito ed al V- in Dolomiti.
Il 17 settembre 1887 Georg Winkler compì l’ascesa in solitaria della torre nord-est delle Torri del Vajolet, che da lui prese poi il nome di Torre Winkler.
Dai primi del 900 fino alla seconda guerra mondiale si assiste all’epoca della grande arrampicata libera. Piaz, Preuss, Dibona, Dülfer, Welzenbach, Rudatis, Comici, Detassis, Carlesso, Cassin, sono i nomi di questa epoca che liberano vie in libera, cercando sempre maggiori difficoltà.
Emilio Comici, “l’angelo del sesto grado”.
Ecco che dopo la seconda guerra mondiale si arriva al periodo “incriminato”, il periodo delle Direttissime. Incriminato perché è un periodo in cui l’innovazione tecnica stravolge il modo di concepire l’alpinismo così come veniva praticato fino a quel momento, lasciando tuttora degli strascichi con chi lo maledice e chi invece ne apprezza le caratteristiche.
Veniamo ai fatti: una Direttissima è una via che segue la linea di salita più diretta possibile verso la vetta, a prescindere dai problemi e dalle difficoltà che si dovessero incontrare. Questo approccio è stato reso possibile dall’introduzione di una novità tecnica, i chiodi ad espansione, che consentivano di progredire su tratti fino a quel momento ritenuti impossibili. Sono state aperte vie, accettate dalla comunità alpinistica, che prevedevano alcuni passaggi in artificiale ma mai si era osato così tanto e la tecnologia ora consentiva una progressione continua in artificiale con un utilizzo massiccio di chiodi.
Per definire questo stile di arrampicata Emilio Comici utilizzò le seguenti parole: “Vorrei un giorno fare una via lasciando cadere una goccia d’acqua dalla cima e seguendone il percorso fino a valle“.
Su questo argomento così si pronuncia il grande alpinista Cassin: “Per il solo fatto d’aver applicato 55 chiodi alla parete N della Cima Ovest di Lavaredo, fui da molti definito “fabbro dilettante”. Ma questo nomignolo non m’infastidiva: per poter vincere talune pareti l’utilizzazione di chiodi era assolutamente indispensabile. Indubbiamente questo significava qualcosa di nuovo, in quanto, in quegli anni ormai lontani, nella conquista d’una parete, si attribuiva particolare importanza all’estetica dell’itinerario ed alla logica del percorso. Un itinerario veramente logico e bello nasce quando lo scalatore sfrutta la morfologia (struttura, articolazione) della parete, trasformandola in armonia per mezzo dell’arrampicamento. Le generazioni di ieri e di oggi sono giunte troppo tardi per potersi ancora inserire in questo genere di competizione. Pur essendo di forte tempra, non hanno più occasione di conquistare pareti rimaste completamente vergini. È un’evoluzione che si palesa in ogni campo competitivo. Nell’ambito dell’alpinismo, la nostra gioventù, se vuol emergere, deve necessariamente aprire, con tutti mezzi artificiali a sua disposizione, nuovi itinerari attraverso pareti già conquistate precedentemente, cercando la difficoltà per se stessa.”.
La parete nord dell’Eiger.
Negli anni ’60 si chiude il capitolo delle Direttissime a favore di un ritrovato alpinismo “free” da mezzi artificiali, ma vie dirette erano ormai state aperte in numerose pareti delle Alpi.
Oggi c’è un rinnovato interesse nei confronti delle Direttissime. Sarà capitato, leggendo una guida, o approcciandosi alla “montagna” o talvolta anche alla “falesia” di casa, di trovare una Direttissima. Bene, la sfida è che oggi, con lo sviluppo delle capacità tecniche ed atletiche di chi scala, queste vie, una volta ritenute impossibili, oggi possono essere scalate in libera.
Una delle pareti che continua ad attirare alpinisti di grande livello è la nord dell’Eiger la cui Direttissima è stata realizzata in libera dalla cordata Schaeli e Jasper sulla Direttissima Ghilini/Piola.
Percorsa per la prima volta nel 1983 in 5 giorni di scalata la Direttissima Ghilini/Piola è considerata una delle maggiori Direttissime della Nord dell’Eiger, poiché attraversa il punto più ripido della parete. Oltre alla difficoltà di grado IX, la sfida maggiore è rappresentata dal fatto che la parete, alta 1400 m, è costituita in parte da roccia molto friabile. Nel 2013 Schaeli e Jasper hanno percorso per la prima volta questa lunghissima via senza soste (Rotpunkt fino a 7c o IX) dopo 14 ore di arrampicata estrema sulla parete.
Schaeli e Jasper sulla nord dell’Eiger.
Questo è solo un esempio delle Direttissime che si possono trovare sulle Alpi e che possono rappresentare oggi una scalata realizzabile per alpinisti che si vogliono confrontare non solo con difficoltà elevate, ma con una sfida proveniente da un’epoca passata.