Il 24 agosto 2018 è mancato Jeff Lowe a causa di una malattia neurodegenerativa che lo aveva costretto sulla sedia a rotelle da metà degli anni Novanta. Ed è per questo che “non se ne sentiva parlare”, a causa della inattività forzata dalla malattia.
Per chi non lo conoscesse o si stesse avvicinando allo studio dei grandi alpinisti, ecco perchè dovrebbe conoscere Jeff Lowe:
E’ stato l’inventore di nuove discipline sulla roccia e il ghiaccio, l’inventore di nuovi attrezzi, il primo salitore di vie che sono state ripetute solo un quarto di secolo dopo, un visionario arrampicatore in grado di immaginare cose che altri climber della sua generazione neanche si sognavano e per questo è tuttora idolatrato da diverse generazioni di appassionati.
Inizia ad arrampicare in giovane età con il padre. La prima realizzazione risale al 1971 a ventun anni realizza Moonlight Buttress nello Zion National Park, salita con Mike Weis, una via che oggi è tra le classicissime dell’arrampicata nordamericana.
Nel 1978 tenta un’ascensione fallita. Con il cugino George Lowe, Jim Donini e Michael Kennedy tenta il Latok 1, che svetta sul ghiacciaio Biafo, in Pakistan, due chilometri e mezzo verticali. Nessuno ne aveva mai raggiunto prima la vetta e loro affrontano la difficilissima cresta nord. Sono costretti a rientrare a 150 metri dalla vetta ma nessuno, dal 1978, è mai riuscito a concludere la loro salita.
Negli anni Novanta lascia la moglie e la figlia, ancora piccola, e inizia la sua storia d’amore con Catherine Destivelle, difficile e criticata. Reagisce affrontando nell’inverno 1991, da solo, la terribile parete nord dell’Eiger, su una via che lo porta al confine della vita, facendosi prestare l’attrezzatura dalla stessa Destivelle e da Jon Krakauer.
Affronta da solo, in inverno e per una linea diretta, mai tentata né pensata prima, la parete Nord dell’Eiger. Un progetto a dir poco pazzesco, anche solo da concepire. A detta di molti alpinisti, e soprattutto dei suoi stessi amici, il suo è un tentativo che rasenta il suicidio. Non solo perché la Nord dell’Eiger è una delle pareti più pericolose e difficili del mondo e per la difficoltà del progetto ma soprattutto perché Jeff sembra affrontarlo da “kamikaze”. O meglio come una vera fuga da una vita, la sua, che sta precipitando. Il suo matrimonio è fallito. E’ attanagliato dai rimorsi per aver trascurato sua figlia, che all’epoca aveva due anni. La sua azienda di materiale per l’alpinismo (Lowe Alpine, una delle aziende più innovative di quei decenni) è fallita e lui è letteralmente inseguito dai creditori. Insomma, a 41 anni, la sua passione totalizzante per l’avventura e l’alpinismo, che da sempre l’ha visto vagabondare per le montagne del Nord America e del mondo, sembra aver mandato fuori controllo ogni equilibrio. Così Jeff si aggrappa all’alpinismo, cercando una risposta alle sue difficoltà.
“Metanoia”, il pluripremiato film di Jim Aikman, racconta proprio di questo viaggio di Jeff verso una qualche risposta, se non proprio una vera e propria soluzione sul senso della vita:
Il film affronta il viaggio dell’uomo Lowe, nella sua vita come persona ed alpinista e documenta l’ascensione dell’Eiger che, durata nove giorni, si è conclusa con un salvataggio in vetta.
A parte l’aspetto alpinistico, i nove giorni sull’ “Orco”, documentano il travaglio interiore dell’uomo. Quando Jeff in piena notte e solo in mezzo alla tormenta, guarda una foto stropicciata della figlia, capisce infine quale sia la risposta ai suoi dubbi: la soluzione non è abbandonare l’alpinismo per essere un buon padre, ma è trovare l’equilibrio che consente di riconoscere le priorità.
Tutto questo mentre deve ancora salvarsi: in un ultimo slancio arriva a 20 metri dall’uscita della via, ma è senza materiale ed ha lasciato lo zaino 50 metri più in basso, così si slega e raggiunge la cresta dove sarà recuperato in elicottero.
Jeff chiamerà la sua via sull’Eiger “Metanoia”, una via ancora non ripetuta.
Un film da vedere, un alpinista da non dimenticare, ciao Jeff.