Quando il nostro partner diventa anche il nostro compagno di scalata, oppure quando troviamo l’anima gemella proprio in questo mondo verticale, la prima cosa che pensiamo è di aver fatto bingo, o meglio, di aver preso a due mani il top. Ci immaginiamo novelli Zangerl&Larcher, una squadra perfetta pronta a mettere a segno scalate su scalate; weekend votati all’amore e all’arrampicata, due cuori e un Grigri. Organizzare le vacanze improvvisamente smette di essere un’agonia fatta di compromessi e falesie vista mare e i compleanni diventano una ghiotta occasione per rimpinguare la scorta comune di rinvii e friends. Sembrerebbe tutto perfetto. Sennonchè le dinamiche di coppia tendono, nel bene e nel male, a riprodursi anche sulla roccia. Non solo: spesso la tensione che immancabilmente coglie i climber nelle assolate domeniche pomeriggio, con l’ombelico all’altezza del rinvio, rischia di esplodere più fragorosamente proprio fra coniugi/amanti/fidanzati. I motivi possono essere diversi e le circostanze che si vengono a creare fanno talvolta agognare a entrambi una solitudine claustrale.
Pochi filtri. Il grande classico fra chi scala, vive o esce assieme è criticare la sicura del reciproco partner. Si parte da rimproveri ordinari sui metri di lasco fino ad arrivare a paradossali accuse del tipo “non ti sento concentrato/a su di me” “non mi inciti abbastanza”, “mi inciti troppo”.
Troppa confidenza. Nelle coppie rodate non ci si fa problemi a lasciare aperta la porta del bagno e a tagliarsi le unghie dei piedi sul divano. Allo stesso modo gli arrampicatori accoppiati non si fanno scrupoli a dare il “meglio” di sè in parete, stando ore sul tiro, piangendo, mungendo e imprecando e insomma facendo rimpiangere alla propria metà la dolce e leggiadra farfalla che eravamo un tempo.
Pretese coniugali. Se mai ci venisse in mente di chiedere a un amico/a di aiutarci a spostare i mobili del soggiorno o a risistemare l’impianto elettrico, di certo offriremmo in cambio qualcosa: illimitati inviti a pranzo, auto in prestito o perlomeno un’infinita riconoscenza. Questo non accade quando il nostro compagno/a di vita e scalata viene investito del’ingrato compito di montare il tiro, allungare tutti i rinviaggi, darci una dettagliata descrizione del metodo da utilizzare per superare il passo chiave, smontare il tiro in questione e montarne un altro perchè abbiamo cambiato idea. Il tutto senza nemmeno un pallido “grazie”.
Nodi che vengono al pettine. La scalata solitamente suggella il fine settimana ed è attesa perciò dopo minimo cinque giorni di lavoro-casa-figli-bollette-scaldabagni rotti e altre amenità quotidiane. Le quali a loro volta entrano in una lunga lista di appuntamenti, cene, vacanze, film, natali, litigi, riappacificazioni. Così ecco che un neutrale “dammi corda” può sfociare in uno sfogo epico in cui la coppia riattraversa sbraitando tutte le brutture della relazione. Da “blocca meglio” a “non mi hai mai amato” è un attimo.
Sempre la stessa minestra. È vero, avere una fidata sicura a disposizione quando vogliamo andare a provare il nostro progetto in quella falesia umida, remota e dimenticata da dio è una bella comodità. Ma novità e confronto animano l’arrampicata; se questa viene vissuta sempre in coppia, la routine rischia di diventare una componente della scalata. L’affiatamento è una gran cosa, ma può cancellare a poco a poco ciò che di piccante c’è nella nostra passione.
Meglio un “che barba che noia!” a letto o una baruffa in falesia? A voi la scelta. Certo che non c’è niente di più bello di poter condividere con il proprio partner di vita la passione per la nostra amata attività.
Orecchie di chi ci sta vicino permettendo.