Una delle cose che più amiamo dell’arrampicata è la libertà. Caricare lo zaino in macchina e partire, chiamati dall’appello silenzioso della roccia. Ci leghiamo e ci sentiamo più liberi che mai. Tuttavia è importante tenere presente che non dappertutto l’arrampicatore è una presenza innocua o gradita.
Nelle zone ZPS (Zone di Protezione Speciale) il nostro irrefrenabile impulso a salire si scontra con le prassi abitative degli uccelli migratori che, guarda caso, sentono anch’essi l’esigenza di stare ai piani alti. Per farla breve, il nostro ambiente prediletto è talvolta anche l’habitat di diverse specie di volatili che nelle amate zanche fanno il loro nido. Dopo svariate riunioni di condominio i pennuti hanno decretato che la convivenza è impossibile, che i climber sono presenze fastidiose e rumorose e che bestemmiano troppo (è nota una certa pia devozione in alcune specie piumate). Per fortuna in queste aeree l’interdizione è quasi sempre limitata ad alcuni periodi dell’anno, quelli appunto di nidificazione.
Alcune zone sono soggette a vincoli ambientali o paesaggistici (come per esempio le aree SIC), anche se questo non significa necessariamente che non ci si possa scalare. Stesso discorso vale per i monumenti naturali. In questo nebbioso contesto non esiste infatti una normativa specifica, ma piuttosto dei singoli regolamenti che possono o meno vietare l’arrampicata.
Non si dovrebbe scalare su pareti o montagne considerate sacre nella cultura di un popolo. O meglio, questo auspicherebbe il popolo in questione, senza che ci sia la stretta necessità di divieti o minacce. In effetti di solito non c’è bisogno di appendere un cartello “vietato arrampicarsi sul crocifisso” all’interno delle chiese. Allo stesso modo la faccenda di calpestare gli spiriti della montagna ci dovrebbe apparire di cattivo gusto.
Il divieto di scalata è generalmente presente sulle pareti a ridosso di strade o comunque di luoghi di pubblico passaggio. Qua comanda ovviamente il buon senso al fine di evitare che a ignari passanti cada una tegola di roccia in testa o che automobilisti si becchino una pietra volante sul parabrezza.
Più spinosa e attuale è la problematica relativa all’arrampicata all’interno di terreni privati. Il proprietario privato è legittimato legalmente a impedire un’attività non gradita nella sua proprietà. Se ciò ci appare assolutamente sacrosanto quando si parla di un box auto, quando entra in gioco la nostra falesia preferita la prospettiva cambia.
Ma perché il proprietario di un fondo beneficiato di una bella quanto economicamente inutile falesia dovrebbe vietarne l’accesso? Dove noi arrampicatori vediamo un piccolo paradiso c’è in effetti solo un dirupo scosceso. Ma in primo luogo le falesie non sorgono nel vuoto, per cui ciò che sta intorno potrebbe avere la sua finalità. Essere adibito a pascolo per esempio, o ospitare un campo di cavoli. Gli arrampicatori non sono sempre delle personcine a modo, attente alle verze altrui e peraltro il passaggio sui campi coltivati è vietato, anche in assenza di esplicita segnalazione. Inoltre anche in mancanza di pecore e ortaggi, non è detto che la condotta dei climber sia impeccabile.
Al di là di questi aspetti, non particolarmente gravosi se non evitabili con un po’ di buona educazione, sussiste un problema di natura legale che limita la cessione da parte dei proprietari, del diritto di passaggio nel proprio terreno.
Infatti un proprietario può comunque essere chiamato a rendere conto di danni (responsabilità civile) che si siano verificati a estranei all’interno di aree di sua proprietà. Anche se c’è da dire che non è facile arrivare a una sentenza di condanna per responsabilità civile di un proprietario per delle attività che non aveva espressamente permesso nella sua proprietà. Non facile, ma non impossibile.
Inoltre, per danni a terzi verificatesi nel proprio terreno, non serve che si verifichi specificatamente un incidente in arrampicata, ma basterebbe che un climber di passaggio cascasse in un pozzo o buca non segnalati ed il proprietario potrebbe esserne chiamato a rispondere.
Da questa eventualità si capisce il diniego da parte di proprietari per attività di cui non capiscono o condividono l’utilità e il valore e che potrebbero essere solo fonte di possibili guai giudiziari con possibile esborso economico a loro danno.
Era giunto alle cronache il divieto, imposto dal proprietario, di attraversare i suoi terreni che conducono alla falesia del possibile 9c italiano, la falesia di Laghel ad Arco. Di questo divieto e della possibilità di “superarlo” si è fatto portavoce Stefano Ghisolfi, il quale ha chiesto aiuto a Garda Trentino e alla città di Arco. Se questi enti si attivassero per dare una esenzione di responsabilità al proprietario, il divieto potrebbe essere tolto e quindi l’accesso alla falesia ripristinato.
Infine c’è da dire che la normativa riguardante il libero passaggio in zone che appartengono a qualcuno (il proprietario può essere sia privato che pubblico) è decisamente più anziana rispetto alla pratica diffusa dell’arrampicata. Le leggi in materia riguardano al massimo i cacciatori e per estensione i cercatori di funghi, e non i “neonati” climber.
Prima di munirci di fucile e cestino per andare a scalare è bene dotarci di una bella dose di giudizio e di educazione, ricordarci che le falesie e il loro circondario non ci appartengono. La nostra libertà termina dove inizia quella degli altri, rapaci compresi.
Sestogrado – yes, we climb.